Revisione dei prezzi in diminuzione – ammissibilità

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LA PREORDINAZIONE DEL MECCANISMO REVISIONALE “IN AUMENTO” AL SODDISFACIMENTO DI UN INTERESSE TIPICAMENTE PRETENSIVO COMPORTA, DI RIFLESSO, L’ONERE DEL PRIVATO DI PRESENTARE APPOSITA ISTANZA DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO. LA FUNZIONE PRINCIPALE DEL MECCANISMO REVISIONALE È QUELLA DI SALV

TAR Lazio Roma, Sez. II, 28.02.2022, n. 2339

“…Appare utile prendere le mosse, preliminarmente, dalla lettura dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 ratione temporis applicabile al caso di specie, a rigore del quale “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5)”.

13. La succitata norma di legge fa espresso riferimento, quindi, ad una “revisione” periodica del prezzo ancorata all’indice ISTAT. Il lemma “revisione” evoca un meccanismo perequativo potenzialmente bidirezionale, vale a dire un meccanismo che può essere sia rivalutativo che svalutativo del prezzo, a seconda dell’andamento dell’indice ISTAT. L’ancoraggio a tale indice può infatti innescare – a seconda delle fluttuazioni ISTAT – effetti rivalutativi (in aumento) oppure svalutativi (in diminuzione).

14. La copiosa giurisprudenza sviluppatasi in subiecta materia ha sempre preso abbrivio da casi concreti (diversi da quello de quo) in cui l’operatore economico privato azionava un interesse pretensivo alla revisione in aumento, e non invece l’interesse oppositivo ad evitare la revisione in diminuzione (come invece nel caso che occupa questo Collegio). Cionondimeno, il Collegio ritiene comunque utile richiamare sinteticamente il compendio di principi di conio giurisprudenziale che governano la revisione “in aumento”, da cui si evince che:

– la funzione principale del meccanismo revisionale è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994), nonché quella di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (nello stesso senso cfr. anche Cons. Stato, Sez. V. 23 aprile 2014, n. 2052; Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; Sez. V, 19 giugno 2009, n. 4079; Sez. III, 9 maggio 2012, n.2682), discendendone quindi che lo scopo principale dell’istituto revisionale resta quello di tutelare l’interesse pubblico ad acquisire prestazioni di servizi qualitativamente adeguate; solo in via mediata e indiretta la disciplina realizza anche l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verificano durante l’arco del rapporto (Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 4362 del 19-07-2011; conforme Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; id., 24 gennaio 2013 n. 465);

– la preordinazione di tale meccanismo revisionale “in aumento” al soddisfacimento di un interesse tipicamente pretensivo comporta, di riflesso, l’onere del privato di presentare apposita istanza di avvio del procedimento, istanza in assenza del quale il procedimento revisionale non può evidentemente svolgersi;

– la norma di legge che impone la presenza di una clausola di revisione periodica del prezzo (id est il summenzionato art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2016) è una disposizione che non può essere derogata in via pattizia e che, peraltro, secondo il meccanismo dell’inserzione automatica, è integratrice della volontà negoziale difforme (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985; Sez. V, 28 marzo 2018, n. 1940);

– l’obbligatoria inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo, da attuare in concreto sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’Amministrazione, non comporta alcun diritto soggettivo all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti; in tal senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 24 gennaio 2013, n. 465), rilevando che la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuazione della revisione in base ai risultati dell’istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato.

15. Chiariti i principi generali che governano le modalità di funzionamento della revisione in aumento e venendo ora ad esaminare il primo motivo dell’odierno ricorso, occorre stabilire se possa ammettersi (o meno) una revisione in riduzione del corrispettivo contrattuale. Ad avviso di questo Collegio, la revisione in riduzione va certamente ammessa per due ordini di motivi, l’uno di carattere letterale e l’altro di carattere sostanziale.

16. Sotto il primo profilo, infatti, come anticipato, è incontestabile che la norma di riferimento applicabile ratione temporis (id est l’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006) – lungi dal prevedere un meccanismo esclusivamente rivalutativo del prezzo contrattuale – codifica invece un più generale meccanismo revisionale che (proprio perché revisionale) può rivedere il prezzo sia in senso rivalutativo che in senso svalutativo, in base al dato oggettivo delle fluttuazioni dell’indice ISTAT.

17. Sotto il secondo profilo, è altrettanto indubitabile che l’obbligo sancito direttamente dalla legge di inserire specifiche clausole di revisione periodica dei prezzi nei contratti pubblici ad esecuzione continuata, è in prima battuta giustificato – come insegna la giurisprudenza testé citata – da motivi di interesse pubblico (rispetto ai quali le esigenze economiche degli operatori privati vengono in rilievo soltanto in un secondo momento).

18. Orbene, ad avviso del Collegio non può negarsi che tali motivi di interesse pubblico – che la pregressa giurisprudenza ha già nitidamente declinato per la revisione in aumento – siano parimenti riscontrabili per la revisione in riduzione, atteso che l’eventuale riduzione del prezzo entro i limiti della svalutazione monetaria (e dei conseguenti minori costi sostenuti dall’operatore economico per la remunerazione dei propri fattori produttivi, sì da non pregiudicare il suo margine di utile) risponde ad incontestabili esigenze di prudente gestione delle finanze pubbliche e di buon andamento della pubblica amministrazione.

19. Ciò detto, resta inteso che anche la revisione in riduzione – al pari di quella in aumento – non è mai una conseguenza automatica della sopravvenuta variazione dell’indice ISTAT, bensì soltanto l’esito finale di un procedimento amministrativo nel corso del quale l’amministrazione deve compiere tutti i propri ineludibili apprezzamenti discrezionali circa l’opportunità (o meno) dell’eventuale riduzione del prezzo, operando il necessario bilanciamento tra l’interesse oppositivo dell’appaltatore e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa (bilanciamento che il Giudice Amministrativo potrà censurare soltanto per manifesta irragionevolezza o abnormità).

20. Le ragioni sopra esposte conducono, quindi, a respingere il primo motivo di gravame, non essendo meritevole di positiva valutazione l’affermazione (su cui poggia tale motivo) a mente della quale la revisione economica può operare soltanto in senso incrementale.

21. Né ha pregio affermare, in senso contrario, che nella specie la revisione in pejus sarebbe impedita dall’intesa negoziale raggiunta inter partes con l’art. 4 del Capitolato (il quale fa espressa menzione di un adeguamento di corrispettivo esclusivamente incrementale). L’obiezione non può essere accolta alla luce del consolidato insegnamento giurisprudenziale (in parte già citato sopra) a rigore del quale alla norma dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 “è stata riconosciuta natura di norma imperativa, alla quale si applicano gli artt. 1339 (inserzione automatica di clausole) e 1419 (nullità parziale) del codice civile (cfr. Cons. Stato: Sez. V, 2 novembre 2009, n. 6709, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 21 luglio 2015, n. 3594; Sez. III, 1° febbraio 2012, n. 504 e 9 maggio 2012, n. 2682); e, appunto in quanto norma imperativa, si inserisce automaticamente nel contratto e prevale sulla specifica diversa regolamentazione pattizia (a nulla rilevando che le parti abbiano o meno previsto il compenso revisionale)”. Tenuto conto, pertanto, della natura imperativa dell’istituto in esame, nonché degli interessi pubblici ad esso sottesi (riscontrabili sia in caso di revisione in aumento che in caso di revisione in riduzione), va da sé che eventuali pattuizioni contrattuali parzialmente difformi (come quella su cui fa leva la ricorrente) sono automaticamente completate – ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419 del Codice Civile – dalla disciplina di legge sul punto (che, come visto, legittima l’amministrazione ad intervenire in riduzione entro i limiti sopra enunciati)…”

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