TAR Lazio Roma, Sez. IV, 12.03.2022, n. 4449
“…Nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1325/2020 si è controverso circa una procedura di gara nella quale “non è stato attivato il procedimento del soccorso istruttorio”, ma, piuttosto, è stato “effettuato dalla commissione un semplice accertamento d’ufficio della regolarità della certificazione, attraverso l’accesso al sito ufficiale del sistema di certificazione, da cui è emerso che il certificato era stato rinnovato”; e il giudice di seconde cure ha, in particolare, evidenziato che si trattasse della “carenza di un elemento formale della domanda”.
Quanto, invece, alla fattispecie definita dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2146/2020, si è controverso di una procedura di gara nella quale la certificazione di qualità non costituiva elemento integrante l’offerta tecnica e si è reputato applicabile il c.d. soccorso istruttorio processuale.
Nella gara oggetto del contendere, invece, il soccorso è stato attivato dalla stazione appaltante su preciso impulso di due sole concorrenti tra tutte quelle partecipanti alla procedura, e ciò per rimediare alla violazione di prescrizioni documentali imposte dalla legge di gara, già oggetto di valutazione e sostanziatesi nella formulazione di una (prima) graduatoria.
Proprio la sentenza del Consiglio di Stato n. 2146/2020, evocata da … in sede procedimentale, richiama la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea (10 maggio 2017, causa C-131/16 Archus) secondo cui “non è in contrasto con il principio della par condicio tra i concorrenti la richiesta di correzione o completamento dell’offerta su singoli punti, qualora l’offerta necessiti in modo evidente di un chiarimento o qualora si tratti di correggere errori materiali manifesti, fatto salvo il rispetto di alcuni requisiti”; e, inoltre, “una richiesta di chiarimenti non può ovviare alla mancanza di un documento o di un’informazione la cui comunicazione era richiesta dai documenti dell’appalto, se non nel caso in cui essi siano indispensabili per chiarimento dell’offerta o rettifica di un errore manifesto dell’offerta e sempre che non comportino modifiche tali da costituire, in realtà, una nuova offerta”.
Nella specie non si è imposta per le controinteressate la necessità di un chiarimento, né di correggere un errore manifesto; né, tantomeno, si è trattato di supplire alla mancanza di un documento o di una informazione.
La finalità, molto più concreta, è stato il recupero del punteggio massimo (5) previsto per il criterio A.3.
Ma il risultato di tale accondiscendenza è stato che i due raggruppamenti capeggiati dalle società … e … sono stati rimessi in termini per rettificare le rispettive offerte tecniche mediante il deposito di nuova documentazione in corso di validità; ma, soprattutto, per ottenere altri 3 punti.
Si è perciò consentito di sanare, isolatamente:
1) sia la certificazione scaduta, prodotta dal RTP … (OHSAS 18001:2007/ISO 45001:2018 della mandante …), pienamente ascritta al contenuto dell’offerta tecnica ai sensi dell’art. 16 del disciplinare: una regolarizzazione che, peraltro, è avvenuta mediante il deposito di una dichiarazione della società … riferita ad una certificazione “in corso di validità alla data odierna di presentazione dell’offerta”, ma non per l’aggiudicazione del lotto n. 4, bensì per il lotto n. 6, come si evince dall’analisi del documento n. 6 prodotto in giudizio;
2) sia l’attestazione ISO 9001 della mandante … del RTI …, pure quest’ultima pienamente rientrante nel novero delle certificazioni previste dall’art. 16 del disciplinare ai fini dell’attribuzione del punteggio per il criterio A.3.
Sono stati, perciò, travisati i presupposti legittimanti l’applicazione del soccorso istruttorio.
Sul punto, la giurisprudenza ha, infatti, sottolineato che “il ricorso al soccorso istruttorio non si giustifica nei casi in cui confligge con il principio generale dell’autoresponsabilità dei concorrenti, in forza del quale ciascuno sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella presentazione della documentazione; con la conseguenza che, in presenza di una previsione chiara e dell’inosservanza di questa da parte di un concorrente, l’invito alla integrazione costituirebbe una palese violazione del principio della par condicio, che verrebbe vulnerato dalla rimessione in termini, per mezzo della sanatoria (su iniziativa dell’Amministrazione), di una documentazione incompleta o insufficiente ad attestare il possesso del requisito di partecipazione da parte del concorrente che non ha presentato, nei termini e con le modalità previste dalla lex specialis, una dichiarazione o documentazione conforme al bando (cfr., da ultimo, C.d.S., III, n. 6752/2018, che richiama, id., n. 4266/2018 e n. 2219/2016)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 22 maggio 2019, n. 3331).
Nella specie, il potere di soccorso istruttorio è stato esercitato selettivamente e, soprattutto, dopo la formazione di una graduatoria: il che ha, appunto, condotto alla graduatoria revisionata (per inciso: nell’ipotesi in cui fosse positivamente verificato per tutti i concorrenti il possesso della certificazione di qualità la graduatoria, con riconoscimento a tutti i concorrenti di 73,40 punti per l’offerta tecnica, la graduatoria finale sarebbe, addirittura, diversa anche da quella revisionata).
Un profilo, quello relativo all’imponderato esercizio del soccorso istruttorio, che – nelle valutazioni sia della stazione appaltante, sia della commissione giudicatrice – ha derubricato la cogenza della disciplina positiva, nel senso che le certificazioni oggetto di contestazione, inerendo platealmente all’offerta tecnica, non sarebbero state sottoponibili alla regolarizzazione ai sensi dell’art. 83, comma 9 del codice dei contratti: una disposizione che espressamente esclude la possibilità di regolarizzare elementi “afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica”, la cui precettività non può essere neutralizzata dalla disciplina di cui all’art. 14 del disciplinare di gara (secondo cui “la mancata presentazione di elementi a corredo dell’offerta ovvero di condizioni di partecipazione alla gara (es. mandato collettivo speciale o impegno a conferire mandato collettivo), entrambi aventi rilevanza in fase di gara, sono sanabili, solo se preesistenti e comprovabili con documenti di data certa, anteriore al termine di presentazione dell’offerta”).
Né tali certificazioni possono essere qualificate alla stregua di “atti amministrativi” e, quindi, ritenersi prorogati per effetto dell’art. 103, comma 2 del DL 18/2020, come opposto dai controinteressati.
Recentemente, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno, infatti, richiamato l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha affermato che l’attività posta in essere dagli organismi privati di certificazione, “sebbene non si limita all’organizzazione di semplici controlli di conformità (…), ma comprende anche il potere di trarre conseguenze da tali controlli” (il tutto “sotto la sorveglianza attiva dell’autorità pubblica competente, che è, in ultimo luogo, responsabile dei loro controlli e delle loro decisioni”), comunque, “non costituisce di per sé una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri, tale che ogni ulteriore attività che partecipi ai pubblici poteri ne sia necessariamente separabile (così Corte Giust., 29/11/2007, C-393/05; Corte Giust., 29/11/2007, C-404/05)”; tali organi esercitano una “discrezionalità non già amministrativa bensì meramente tecnica, in relazione alla quale in capo ai soggetti privati relativi destinatari insorgono invero posizioni di diritto soggettivo, la cui tutela rientra nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”; vi è stata, pertanto, l’affermazione – da parte delle sezioni unite – della natura privatistica dell’attività di certificazione (cfr. sentenza 5 aprile 2019, n. 9678)…”