TAR Lazio Roma, Sez. II, 18.10.2022, n. 13303
"...La medesima Agenzia, sempre nell’intento di legittimare la contestata aggiudicazione, invoca – poi - la previsione di cui all’art. 68, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un'offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l'offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all'articolo 86, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”, affermando che - per quanto gli spessori della schiuma poliuretanica ignifuga riportati nelle schede tecniche allegate ai documenti di gara fossero inferiore rispetto a quelli prescritto - “la densità della suddetta schiuma poliuretanica … consente di ottenere le medesime prestazioni - anzi addirittura superiori - che garantirebbe il solo spessore”, come (in tesi) dimostrato “dalla documentazione allegata agli atti di gara e dai chiarimenti successivamente offerti dalla società aggiudicatrice, (nonché) come verificato dalla Commissione di gara”.
Anche tale argomentazione deve essere disattesa, assumendo rilievo dirimente la circostanza - già valorizzata in sede cautelare – che l’aggiudicataria non abbia, a bene vedere, reso alcuna evidenza dell’equivalenza funzionale tra quanto offerto e quanto richiesto dalla stazione appaltante né in sede di offerta, né nelle successive fasi della procedura, bensì - al più - solo successivamente all’instaurazione del presente giudizio, con nota di chiarimenti del 20 maggio 2022, resa su specifica richiesta dell’Agenzia del 17 maggio 2022, anch’essa, dunque, posteriore alla notifica del ricorso in esame.
La prevalente giurisprudenza amministrativa - che il Collegio condivide - ritiene, infatti, che “al fine di scongiurare l'esclusione dalla gara d'appalto, il partecipante che intenda avvalersi della clausola di equivalenza prevista dall' art. 68, d.lgs. n. 50/2016 , ha l'onere di dimostrare già nella propria offerta l'equivalenza tra i servizi o tra i prodotti, non potendo pretendere che tale accertamento sia compiuto d'ufficio dalla Stazione appaltante o, addirittura, che sia demandato alla sede giudiziaria una volta impugnato l'esito della gara”, evidenziando come, “benché il principio dell'equivalenza permei l'intera disciplina dell'evidenza pubblica, rispondendo lo stesso al principio del favor partecipationis e costituendo, altresì, espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte della P.A., nondimeno anche l'ampia latitudine riconosciuta al canone di equivalenza non ne consente, tuttavia, l'estensione all'ipotesi, esulante dal campo applicativo della stessa, di difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis, configurandosi in tal caso un'ipotesi di aliud pro alio non rimediabile” (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3489/2019);
L’operatore che intenda avvalersi del principio dell’equivalenza (suscettibile di trovare applicazione indipendentemente da un espresso richiamo negli atti di gara) deve, dunque, fornirne la prova già in sede di gara, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante né tantomeno dimostrata in via postuma in sede giudiziale.
Ciò posto, risulta dalla documentazione versata in giudizio dalle parti che l’aggiudicataria non abbia adempiuto a tale onere né in occasione dell’offerta, non riportando le relative schede tecniche alcuna notazione che i prodotti proposti rispondessero in maniera equivalente ai requisiti definiti dalla stazione appaltante nel Capitolato tecnico relativo al lotto di cui si discorre, né – tanto meno - nelle successive fasi di gara anteriori alla contestata aggiudicazione..."